Oggi il turismo rappresenta una delle principali attività dell'economia locale ma in passato la principale fonte di reddito è stata l'agricoltura e per oltre 120 anni a Casa Aranci ha vissuto una famiglia della piccola borghesia contadina locale, la famiglia Passalacqua. Una famiglia semplice, fondata su valori sani e autentici. Conoscerne la storia vi permetterà di apprezzare ancor di più il soggiorno nella struttura. Grazie all'amore per i ricordi del passato, la famiglia Passalacqua ha conservato oggetti, foto e documenti che permettono oggi agli ospiti di vivere un viaggio nella Sicilia del primo Novecento.
Casa Aranci fu costruita nel 1898 da GiovanVito Passalacqua (foto a sinistra) e divenne, dopo il matrimonio, la casa della famiglia del primo figlio maschio, Giacomo (l'uomo nella foto a destra con il bambino in braccio). La famiglia, oltre che da Giacomo, era formata dalla moglie Giuseppa Licari (la prima donna da sinistra), dalla figlia Vincenza (la prima donna da destra, nata nel 1920), il figlio GiovanVito (nato nel 1922) e il piccolo Vito (nato nel 1934, in braccio al papà Giacomo).
La famiglia possedeva circa 15 ettari di terreno nella zona di Birgi e dintorni, tutto coltivato quasi esclusivamente a vigneto. L'uva (Catarratto, Grillo, Ansonica e Grecanico) raccolta veniva portata nei magazzini annessi alla casa e qui, dopo la pigiatura, il mosto veniva raccolto nelle grandi botti di rovere e castagno. La vendita del vino, in bottiglia o sfuso, rappresentava la principale rendita economica della famiglia che poteva considerarsi sufficientemente benestante.
La tranquilla vita della famiglia Passalacqua, dedita al lavoro nei propri vigneti, venne improvvisamente scossa dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Sebbene si combattesse a migliaia di chilometri di distanza dalla piccola casa di contrada Birgi, la guerra ebbe un impatto catastrofico sulla famiglia in quanto venne privata della forza lavoro del figlio maschio più grande, il diciottenne GiavanVito che venne arruolato.
GiovanVito nel 1941 ricevette la lettera di arruolamento e dopo un breve periodo di addestramento a Perteole in Friuli, fu inviato a combattere in Russia nel settembre del 1942 con il 277° reggimento fanteria, 3° battaglione, 9° compagnia, divisione Vicenza.
Durante il servizio militare il giovane scrisse quasi quotidianamente alla sua famiglia. Dalle numerose lettere, oggi custodite nel museo dell'arte contadina e siciliana di Casa Aranci, emerge la malinconia e la paura di un giovane strappato alla sua terra ma allo stesso tempo la grande maturità di un figlio che non vuole far preoccupare i genitori. Leggendo con attenzione le righe scritte a mano traspaiono la preoccupazione per il padre, costretto a "rompersi la schiena di lavoro" data l'assenza del figlio e la difficoltà nel trovare operai per l'assenza degli uomini impegnati in guerra nonché il pensiero costante per la madre con le continue rassicurazioni sulla temperatura in Russia. In una lettera, ad esempio, per tranquillizzarla scrisse che "nonostante nevichi tutti i giorni", a Dicembre in Russia, "la temperatura non è molto diversa da quella dello stesso mese in Sicilia".
L' ultima lettera di GiovanVito dalle gelide steppe russe è datata 7 gennaio 1943. Il suo battaglione in quei giorni venne impegnato in una tragica battaglia lungo il fiume Don. I soldati italiani si diedero ad una disastrosa ritirata e sulla sua sorte non si seppe più nulla. Dopo alcuni anni, nel 1945, dei conterranei superstiti testimonieranno verbalmente alla famiglia di averlo visto qualche mese prima del loro rientro in Italia, in un campo di prigionia russo. Riferirono che stava bene ma si trovava insieme ad un gruppetto di altri prigionieri italiani e tedeschi che furono fatti salire su di un camion. Da lì nessuno lo vide più. Nessuna fonte ufficiale diede comunque mai conferme sulla possibilità che nel 1945 fosse ancora in vita. L'unica certezza è che dalla guerra in Russia GiovanVito non fece più ritorno.
La scomparsa di GiovanVito porterà profonda tristezza nella famiglia che non smetterà mai, almeno fino agli anni '50, di cercarlo. Giacomo, affranto e privato dell'aiuto del figlio maggiore, porterà avanti l'attività vitivinicola fino alla sua morte nel ----. La moglie Giuseppa, colpita dalla depressione per la perdita del figlio, verrà accudita prima della figlia Vincenza e successivamente dal figlio Vito fino alla sua morte avvenuta il 6 maggio del 1994.
Sul finire degli anni '50 e gli anni '60 del Novecento, l'aspetto della contrada di Birgi subì notevoli mutamenti in quanto venne individuata come area dove far sorgere una grande base Nato e un aeroporto civile. Per la realizzazione del progetto si avviò un importante esproprio di terre di proprietà dei contadini locali. Anche la famiglia Passalacqua ne fu interessata e la superficie a vigneto dell'azienda perse circa 5 ettari.
Dopo la morte di Giacomo, la gestione dell'azienda passò in mano ai due figli Vincenza e Vito. Quest'ultimo decise di gestire direttamente una parte degli appezzamenti e si dedicherà ad alcune sue passioni quali la musica e gli studi di agraria ed economia. Vincenza, invece, con l'aiuto di operai di fiducia, porterà avanti la produzione di uva divenendo socia nella Cantina sociale Birgi.
Vincenza e Vito verranno a mancare nei primi anni del Duemila. L'azienda Passalacqua passerà in mano al nipote di Vincenza, Gianluca Parrinello. Oggi, lui e la sua famiglia hanno deciso di valorizzare la vecchia casa della nonna e i vigneti avuti in eredità, nel ricordo e nel rispetto di coloro i quali tra quelle mura e quelle terre hanno compiuto grandi sacrifici, con tanto sudore, lacrime e amore.